Ansia o Angoscia?

Una piccola precisazione

Quando scrivo un articolo sul blog, cerco di uscire dalle usuali classificazioni che vedono il malessere come sintomo e cercano quindi, e giustamente, di eliminarlo o quantomeno ridurlo.

Questo ha a che vedere con una visione medica dell’uomo e con la (pia) illusione di poter eliminare la sofferenza che l’uomo, in quanto essere umano, porta inevitabilmente con sé.

Ecco perché cerco sempre di ampliare il discorso cosicché il lettore potrà accostarlo ad approcci più usuali del nostro tempo, per potersi così fare un’idea propria.

Ansia o, meglio, angoscia?

La questione non è di poco conto se ci pensiamo bene. Come ho scritto in passato, l’ansia nasce nel momento in cui “Io” sento che da solo non posso fare tutto ciò che voglio fare. Con l’abbattimento di alcuni limiti, l’uomo si trova solo con le proprie idee di onnipotenza e con un corpo limitato ed impotente

Ciò produrrebbe sentimenti di ansia (quando sento che posso affrontare il mondo, ma che questi è troppo vasto per me) e depressione (quando sento che ho fallito o che comunque fallirò).

L’onnipotenza dell’uomo contro l’ansia

Invece che permettere alla depressione di trasformarsi in tristezza e consapevolezza dei propri limiti, oggi l’uomo tende a reagire e ributtarsi nell’idea di onnipotenza (ricominciando così dall’inizio in un perenne circolo vizioso).

Nel frattempo le fa di tutte per tranquillizzarsi: beve o si tuffa nei social (per sedare il disagio), si fa di cocaina (così si sente finalmente potente), si butta nel lavoro  (tentando di dimenticare che il suo sé non inizia e finisce nella sfera lavorativa), o si crea una serie di pensieri ossessivi, coltivando l’illusione di poter controllare e prevedere gli avvenimenti del mondo.

E qui arriva l’angoscia

Si perché forse l’angoscia ha a che vedere con qualcosa di più profondo e radicale. L’angoscia ci rimanda al fatto che il mondo è imprevedibile e che tutto il senso che possiamo cercarvi, rimane un senso costruito da noi, e quindi mai assoluto e di per sé vero

La consapevolezza della nostra ignoranza (propria del nostro tempo che viene dopo Nietzsche e Heidegger, ma anche dopo il postmoderno e la caduta delle grandi narrazioni da parte di autori come Lyotard, Vattimo, ecc) ci mette di fronte all’angoscia di non poter prevedere, categorizzare e finanche controllare il nostro ambiente.

Ripartire da qui per un nuovo sé 

Sapremo sfruttare tale angoscia del vuoto, dell’imprevedibile, dell’indicibile, come un trampolino per costruire qualcosa di nuovo? Un “me stesso in un mondo” nuovi e in maggior armonia?

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