“La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza” Pier Paolo Pasolini
In qualche modo lo sguardo dell’altro e l’opinione che l’altro ha di noi, ci influenza. Cambia la nostra idea di noi stessi. Ci sentiamo migliori o peggiori in base a come l’altro ci tratta, a come ci guarda, a come ci considera, a come ci ascolta.
Temo che questo sia inevitabile. L’uomo è un essere relazionale e come tale viene (anche) definito dall’altro.
Ma contemporaneamente è un essere individuale. Con le proprie spinte, i propri desideri, le proprie paure, battaglie, sfide… con la propria drammatica libertà che lo mette di fronte alla responsabilità delle proprie scelte…
… e che spesso lo fa sentire terribilmente solo…
Al di là del dilemma del porcospino di Schopenhauer (che metto più sotto per chi fosse curioso), spesso sento e vedo persone che delegano la propria vita all’altro (amici, colleghi, capi, mogli, mariti, genitori…): “vorrei…, ma come faccio se lui (o lei) non me lo permette?” Dimenticandosi della propria, imprescindibile, libertà.
Non tanto della libertà di lasciare il partner ed andarsene. Questa è stata una conquista del secolo scorso e che oggi e data per assodata. Parlo della libertà di non far dipendere il proprio benessere, i propri pensieri su di sé e sulla vita, dall’opinione altrui.
Il rendersi conto della propria autonomia di pensiero (da persone vicine, ma anche dal pensiero dei media, dei politici, degli influencer…) però implica il dover fronteggiare il vuoto della solitudine con cui, ciascuno di noi, in ogni caso, dovrà fare i conti prima o poi. Che lo voglia o no…
Dentro un percorso di psicoterapia questi temi, per quanto soggiacenti, fanno sempre capolino dentro l’Inter io dei racconti di chi intraprende questo percorso.
Così il passare da una posizione di “la colpa è sua, non mi da ciò di cui ho bisogno, semmai io sono troppo accondiscendente!”, ad una posizione di “perché continuo a chiedere agli altri ciò di cui ho bisogno? Perché do la colpa agli altri della mia condizione?”, richiede di sentire il vuoto della solitudine, ma al contempo il sapore della libertà, dell’autonomia e della pienezza del vivere…
Mauro Piccinin
Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. (Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena)