Sulle diagnosi ai bambini

Voi terapeuti siete tutti uguali. Vi basta poco per fare un quadro ad una persona, ed una volta fatto non lo cambiate mai, anche se l’altro vi sorprende. Al massimo aggiungete altre pennellate, altri particolari al medesimo quadro”

G.

Con questo post vorrei rivolgermi a quei colleghi, insegnanti e genitori che credono tanto nelle diagnosi infantili.

Nell’ultimo periodo c’è un proliferare di diagnosi a bambini in età scolare. Oltre a tutti i Disturbo Specifici dell’Apprendimento (DSA), vedo molte diagnosi di ADHD (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività) e di Disturbo oppositivo provocatorio.

Conosco Marco in 3° media. Marco “ha un disturbo oppositivo provocatorio diagnosticato dalla seconda elementare” mi dice la madre. Sembra ci sia poco da fare. “Sono anni che ha quel disturbo e psicologi e neuropsichiatri non sono riusciti a fare nulla”. Ancora oggi Marco si oppone ai genitori ed agli insegnanti. Si arrabbia, si chiude in se stesso, lavora in classe e a casa solo se lo vuole lui. Non collabora con i vari professionisti che cercano di aiutarlo. Tutti “sintomi” del disturbo diagnosticato.

Il problema è che Marco ora non vuole la rivalutazione (come di prassi prima dell’inizio delle scuole superiori), non vuole più l’insegnante di sostegno (presente dalle elementari), ma soprattutto vuole fare un liceo mentre i Servizi e gli insegnanti lo vedono in una Scuola Professionale. Questa idea è talmente forte che circola l’idea di una segnalazione in Tribunale qualora non venissero ascoltati.

La scelta di Marco viene letta come l’ennesima opposizione. L’ennesima provocazione “frutto del suo disturbo”.

Scusate, ma anche se perdesse un anno? Non vale la pena che ci provi seguendo i suoi desideri?”, oso chiedere durante una riunione con vari colleghi. Si scatena una bufera, ma alla fine, malgrado lo sguardo di biasimo dei colleghi verso la mia professionalità, la madre decide di correre il rischio ed ascoltare il figlio. Per fortuna i vari operatori decidono di non segnalare per il momento, dichiarando che ci saremmo rivisti l’anno successivo dopo l’ennesimo fallimento del ragazzo, ma auspicando un po’ più di consapevolezza dei suoi limiti.

A giugno 2019 Marco si è diplomato (quasi sempre con i debiti a settembre, ma senza aiuti e senza perdere un anno), oggi sta lavorando per mettersi via un po’ di soldi per potersi iscrivere ad un corso post diploma a cui tiene tantissimo.

Uno dei problemi della diagnosi (delle altre criticità ne scriverò in futuro…) è che rischia di ingabbiare la nostra visione dell’altro. Rischia di impedirci di vedere le enormi possibilità che l’essere umano (non sempre, ma) sovente ha di fronte a sé.

Rischia di “staticizzare” l’altro, confinandolo in un quadro immobile ed immutabile, senza possibilità di cambiamento.

Rischia di disumanizzare le persone riducendole a “macchine banali” non permettendoci di vederne la bellissima, complessa, misteriosa ed irriducibile umanità.

Un pensiero riguardo “Sulle diagnosi ai bambini

  1. Penso sia dovuto precisare che non sono una psicologa e che scrivo solo basandomi sulla mia esperienza ma mi ha positivamente colpito uno psicoterapeuta che affronta il tema delle diagnosi e che si preoccupa della gravità delle conseguenze che possono avere sull’altro/a, soprattutto su bambini e ragazzi…ma, come certamente saprà, non solo su di loro.

    Ritengo giustissimo e coraggioso il suo intervento alla riunione per Marco. Penso che, se anche lei si fosse schierato con i suoi colleghi, Marco sarebbe rimasto schiacciato dalla loro diagnosi per tutta la vita.
    Invece la “scossa” che le sue parole hanno dato alla madre e la tenacità di Marco hanno dimostrato a tutti che il suo intervento è stato prezioso!

    Non ho la competenza per poter contestare la diagnosi iniziale ma quei suoi colleghi hanno scelto di non guardare Marco bensì solo lo stereotipo a cui lo avevano associato secondo la diagnosi che gli avevano fatto.
    Non c’è proprio da stupirsi se psicologi e neuropsichiatri non siano riusciti a fare nulla per anni! Marco non c’era più per loro, di lui era rimasto quel “quadro” – a cui riferisce la citazione all’inizio di questo post, che sottoscrivo in pieno – che si erano fatti inizialmente e in base a quell’ “immagine” stabilivano ciò che era “adatto per quelli come lui”.
    Le potenzialità di Marco, i suoi desideri, le sue scelte, non potevano essere “accettati” perché non “erano in linea” con quell’ “immagine”. Marco ha dimostrato che i limitati erano i suoi colleghi e non lui!

    Sono una donna che ha tentato più e più volte, fin dalla giovane età di 19 anni, percorsi di psicoterapia in cerca di aiuto “per soffrire meno” collezionando purtroppo una serie di esperienze che definire negative sarebbe usare solo un eufemismo.
    Sono i terapeuti pericolosamente “ciechi e presuntuosi”, come quei suoi colleghi della riunione per Marco, che mi hanno portata inevitabilmente alla decisione di non cercarne più perché, oltre a non avermi aiutata in alcun modo, sono stati “nocivi per il mio essere” con il totale fallimento delle loro terapie e con diagnosi che mi hanno ulteriormente schiacciata.

    Tra tutti i terapeuti che ho conosciuto, e sono tanti, ho notato che gli psichiatri sono in genere i peggiori. Non so come dire… sembrano avere “incarnata” nella loro mente la “certezza della malattia dell’altro” più di quanto io l’abbia riscontrata negli psicologi.
    Forse anche perché gli psichiatri hanno una formazione medica. Non a caso come prima cosa ti prescrivono farmaci e pretendono che tu li assuma “senza se e senza ma” anche nonostante i pesanti effetti collaterali che riferisci loro. Se mostri resistenza alla cura farmacologica prescritta, la loro convinzione è che “non ti vuoi curare”.
    Purtroppo però entrambi, psichiatri e psicologi, sembrano avere “incarnati” nella mente tutti quei prototipi che si sono costruiti e nei quali cercano di far rientrare a forza l’altro/a, in base a quell’immagine immutabile che hanno disegnato di lui/lei. È come se stabilissero a priori, prima ancora di conoscerti, chi sei e di cosa soffri…e anche questo “staticizza e disumanizza” l’altro/a, come giustamente afferma lei.

Rispondi