Lo psicologo ospite

Il professionista è un ospite nella vita della famiglia”, Giuseppe Tibaldi

 
Questa è una frase che il dott. Tibaldi ha detto domenica 1 ottobre, durante un convegno che Episteme ha organizzato a Torino (per informazioni varie andate su questo link dell’Associazione Episteme) sull’open dialogue in psichiatria e sull’abitudine di effettuare i colloqui a case dei pazienti.
Un interessantissimo convegno (di cui mi piace ricordare, oltre a quello di Tibaldi, gli interventi di Marco Bianciardi, Jimmy Ciliberto ed una sempre stimolante Valeria Pomini) che spero potrà ripetersi presto con stimoli del medesimo livello.
Non mi soffermerò sull’utilità, le premesse, l’efficacia di un approccio (l’open dialogue di Seikkula) che, come ogni tanto è avvenuto nella storia dell’umanità, cerca di ascoltare la voce di chi solitamente è inascoltato. Mi interessa invece pensare che il professionista (psicologo, psichiatra, medico, infermiere, assistente social, insegnante, educatore, ecc ecc ecc) è e rimane comunque un ospite (più o meno gradito) nella vita della famiglia.
Un ospite anche quando vede la persona o la famiglia nel proprio studio, nella propria aula, nella stanza del comune o in reparto.
Il bel suggerimento di Tibaldi mi ricorda, ogni volta che inizio un colloquio, una terapia, un incontro, che sono solo un ospite nella vita di chi mi sta di fronte.

Ed un ospite è bene che chieda permesso quando entra.

È bene che sia rispettoso delle regole di casa senza giudicarle.

È bene che capisca quando è il momento di andarsene.

È magari bene che porti un pensiero.

E magari, se è stato invitato per aiutare a mettere ordine (cose che succede quasi sempre quando qualcuno viene nel mio studio per una terapia), è bene che si dia da fare senza perder tempo ma senza far danni.

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